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Attraversare l'Atlantico non è una gita

20 February 2002 ore 20:00

Diario del mattino

 

Oggi non ho avuto tempo di stare male. Oggi abbiamo rischiato grosso. Eravamo in coperta io, Vanni e forse Paolino e Cino, quando il Genova, cioè il fiocco, la vela che sta a prua, è crollato giù. E’ cascato in un secondo sulla coperta. Si era rotto proprio il grillo (il gancio a forma di U) che lo agganciava in alto, alla drizza e all’avvolgifiocco. Abbiamo faticosamente recuperato l’enorme vela, prima che finisse tutta fuoribordo, magari sotto alla barca. Ma poi Marco ha deciso che bisognava andare in testa d’albero, a riagganciarla. Io non me ne intendo, ma mi è sembrata subito una follia: il mare era grosso, la barca rollava da matti.

 

Come si fa, in queste condizioni, ad andare in testa d’albero, una manovra che io non farei neanche in porto, figurarsi in mezzo all’Atlantico?! Marco ha preparato tutto con Vanni, si è legato al sedile (il bansigo) per farsi issare. Vanni e Cristoforo stavano vicini alla base dell’albero, ognuno con una drizza per farlo salire. Io avevo il semplice compito di tenere in chiaro a Marco la scottina (la corda) che poi lui avrebbe dovuto attaccare in testa d’albero alla cima da recuperare (lo chiamano il messaggero). Paolino faceva le riprese. Io ho visto Marco salire, salire.

 

Poi la barca ha avuto dei sussulti da cavallo impazzito. Marco ha sbattuto contro le sartie, poi contro le crocette. Tentava di aggrapparsi ma non ci riusciva. Sembrava un pupazzo sbattuto qua e là. Io ero coricato in coperta e guardavo in su, appunto per evitare che la famosa scottina gli si incattivisse, si impigliasse da qualche parte. Per cui vedevo tutto. Pensavo che Marco morisse. Ha preso dei colpi dappertutto per cinque minuti buoni. Stavo vedendo un amico in estremo pericolo, per me che non ho esperienza di queste cose si è affacciata subito l’ipotesi della tragedia, sul serio.

In realtà sarebbe bastato che sbattesse contro una crocetta, di punta, per non avere scampo. E’ stato mostruoso. Mentre mi venivano le lacrime agli occhi e la mia faccia – credo – era contratta in un ghigno isterico, ho capito che l’unico controllo che potevo dargli era la mia scottina, che essendo legata alla sua cintura poteva tenerlo lontano dall’albero, poteva evitargli almeno qualche botta. Per la cronaca mi sono tutto ustionato una mano, appunto tenendo la scottina che si alzava e si abbassava velocissima in base ai giri e ai salti di Marco.

 

Ma il problema era assistere, praticamente potendo fare poco o niente, all’incidente. Mi son sentito responsabile, in qualche modo. Vanni e Cristoforo, chini sui winch e intenti ad issare, non si sono accorti della situazione finchè non mi hanno visto in faccia. Alla fine Marco ha fatto quel che doveva fare in testa d’albero, poi è sceso, prendendo altri colpi, facendo altri voli incontrollati attorno all’albero. Ed è cascato giù, trattenuto a stento dalle drizze, sul canotto.

Io, piangendo come un vitello e tremando per la tensione, ho cercato di abbracciarlo, gli ho preso un manone tutto escoriato e glielo ho baciato, perché non avrei scommesso una lira sul fatto che riuscisse a tornare giù intero. Invece lui si è semplicemente spellato le mani, ha preso molte botte sulle gambe ma senza fratture. La cosa più grave è stato un taglio all’interno di un braccio.

Cino era al timone. Alla fine non ha detto niente. Ha solo scrollato la testa, in segno di disapprovazione per la temerarietà di Marco. Che, dopo aver preso fiato per dieci minuti buoni, gli ha spiegato che non si era fatto assicurare ad un’altra cima che forse gli avrebbe evitato tutti questi pericolosissimi sballottamenti, per il fatto che una volta su gli sarebbe stata d’impaccio per raggiungere il suo scopo.

Io ho capito che attraversare l’Atlantico non è una gita. In ballo, ci potrebbe essere la pelle. Per fortuna, oggi, di pelle ci abbiamo rimesso solo qualche pezzettino.

 

Patrizio

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