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Sosta di emergenza all'Isola de La Vache

11 March 2002 ore 20:00

Mi sono svegliato un po’ prima dell’alba. Assieme alla luce (alba fosca, con nubi) è arrivata la terra: l’Isola de la Vache, l’isola della Vacca. Un’isoletta di Haiti. Siamo decisamente Velisti per Caso: all’inizio il nostro programma prevedeva una sosta ad Haiti. Avevamo anche contattato alcune persone, rappresentanti di Organizzazioni Non Governative che lavorano su questa che è la terra più povera del mondo. Poi, per un’avaria (la famosa onda che ci è entrata alle Canarie) abbiamo dovuto abbandonare il progetto a causa del ritardo accumulato.

Oggi, sempre a causa di una avaria, stiamo per attraccare ad Haiti, anche se non si tratta della capitale, Port au Prince ma di una sperduta isoletta.

 

Marco deve assolutamente verificare cosa è successo all’avvolgifiocco. Io, alle 4, che in Italia sono le 9, ho nel frattempo telefonato in Italia a Michela, la nostra preziosissima basista, che ha a sua volta allertato la ditta produttrice. Luciano, il responsabile, mi ha richiamato immediatamente, e ha dato assistenza telefonica a Marco, per studiare una riparazione di fortuna e vedere i danni.

La prima diagnosi è stata questa: all’atto del montaggio, semplicemente, non erano stati ben stretti alcuni bulloni… Una dimenticanza banale, forse per la fretta, tenuto conto che la nostra barca è stata fatta a tempo di record. Ma ora, coi bulloni spezzati, si tratta di rifare e rifilettare i buchi sul cilindro dell’avvolgitore. Intanto, appena calata l’ancora, Adriatica è stata letteralmente (e benevolmente) presa d’assalto da una serie di barchini, scavati in un tronco (e spesso si tratta di un tronco storto, cioè inadatto…) con i venditori di qualunque cosa: aragoste, sigarette, pesce, banane, meloni ecc.

 

Il mare attorno all’isola, coperta di cocchi con qualche squarcio di prato, si è animato anche di barche da pesca, vecchissime, spesso ricavate da tronchi, spinte da attrezzature di bambù e da vele (letteralmente) ricavate da sacchi neri per la spazzatura. Altro che gennacher…

Siamo saliti sulla barca di Raoul e di Virgilio, aria da boss, due colossi neri dall’aria molto sicura di sé, un barcone di plasticona spinto da un 25 cavalli. Tenendo presente quel che ho letto su Haiti, all’inizio ero un po’ preoccupato, al momento in cui io, Paolo, Walter, Ballo e Cesare dei Lunapop ci siamo affidati a loro (le tragiche violenze e gli eccessi degli scontri politici Haitiani). Ma poi, durante i 25 minuti di traversata fino al villaggio, mi sono rilassato. Giorno di mercato. Almeno un terzo dei 12.000 abitanti dell’isola sono riuniti assieme. Africa. Barche di legno, decrepite. Capre, maiali. Bancarelle con riso, zucchero, banane. Donne nere, vestite di colori africani. Ristorantini (una pentola e un ombrello) dove si friggono interiora, pollo, polpette non meglio identificate. Altri negozietti ambulanti con tre saponette e un paio di mutande da donna. E voci, sorrisi, gente che ci accetta con curiosità e con naturalezza, anche se siamo gli unici bianchi in assoluto. Chi non è arrivato al mercato in barca, arriva a dorso d’asino o di cavallo.

 

E’ Ballo a notare una cosa evidente eppure strana, ormai, su questo Pianeta: “Non c’è una macchina!” Niente auto, niente luce, niente di quelle infra-sovra-strutture sulle quali viaggia la globalizzazione. Parlo con Virgilio: “Come si sta qui?” “Meglio qui che nella Capitale di Haiti, dove c’è delinquenza e fame. Ma anche qui la gente ha problemi: non c’è acqua, non c’è lavoro”

“La gente è povera, eppure non è disperata qui sull’isola” mi dice Mister Fat, un anziano canadese del Quebec con barba e codino. “Cosa fa qui?” “Sono pensionato, passo qui 5 mesi all’anno, quando in Quebec è inverno, collaboro con le Suore Francescane”.

Le Suore francescane gestiscono la scuola, dalle elementari alle superiori, più un ospedale per bambini malati e handicappati gravi, più un orfanotrofio, più una sorta di Day-Hospital per bambini denutriti che vengono qui, praticamente, solo per mangiare qualcosa di decente e di nutriente.

“Sorella, ma qual è qui il problema?”

“Il problema è che con le leggi del libero mercato mondiale questa gente, che non ha niente, deve pagare tutto al prezzo che viene deciso dai Paesi ricchi. E, semplicemente, non può”

Notare: me lo ha detto una suora francescana canadese, non uno dei manifestanti anti-global di Seattle o di Genova…

 

Alla sera torniamo su Adriatica. Marco e Vanni, con l’assistenza telefonica satellitare di Luciano (di Arte-Bamar, diciamolo!) ha aggiustato l’avvolgifiocco. Non ne dubitavo! Prima della cena a base di aragoste acquistate (a caro prezzo, ma va bene lo stesso, dai pescatori haitiani) un’altra sorpresa piacevole: la visita di Gerald Maugendre (gmaugendre@yahoo.fr), capitano del Plenitude, una barca di circa 10 metri con la quale sta facendo il giro del mondo in solitario. Un vero neo Moitessier! Ex ingegnere in pensione.

Ha deciso di partire dopo la morte della moglie, tre anni fa.

Peccato che, scendendo dalla sua barca, io prenda una seria distorsione alla caviglia, che adesso mi mette ko, coricato e immobile.

Ci mancava anche questa…

 

Patrizio 

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