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Le Isole Vergini Britanniche

3 May 2006 ore 15:00

Dopo Guadalupa, con le British Virgin Islands inizia la navigazione fra le isole dei Caraibi. Si tratta di un piccolo arcipelago di 153 Kmq , territorio d’oltremare del Regno Unito, composto da 16 isole abitate e 20 disabitate, con poco più di 22.000 abitanti , di cui quasi la metà concentrati nella piccola caopitale Road Town (9.100).

Anche qui ha prevalso per secoli il binomio canna da zucchero- schiavi africani (ancora oggi la popolazione è composta per l’83% dai discendenti degli schiavi neri). Questo merita una piccola riflessione: nel nostro viaggio a partire dalle Canarie abbiamo trovato sempre questo binomio, per secoli (almeno dal Cinquecento all’Ottocento) l’Atlantico è stato un grande bacino che basava la sua ricchezza sull’oro bruno dello zucchero di canna e sul commercio degli schiavi collegato, un fenomeno imponente che solo il nostro sguardo piuttosto “eurocentrico” ci impedisce di cogliere (almeno nei programmi di storia scolastici, attenti ai minimi particolari dell’Europa e in particolare dell’Italia e poco di quello che accadeva fuori dei confini). Nel Settecento l’abate francese Raynal scriveva che “per nutrire una colonia in America bisogna coltivare una provincia in Europa” perché queste terre vocate alla monocultura della canna non erano più in grado di nutrirsi da sole.

Solo l’abolizione della schiavitù nell’Ottocento e la fabbricazione dello zucchero bianco di barbabietola ha spezzato questo binomio, ma le testimonianze del passato rimangono come la Josiah’s Bay Plantation e la Thorton Plantation a Tortola, la più importante delle isole delle British Virgin (ma nell’isola di Virgin Gorda si possono ossevare anche i resti deller Copper Mines, un piccolo pezzo di rivoluzione industriale inglese o meglio di archeologia industriale ai Tropici).

 

In realtà le British Virgin Islands sono un doppio paradiso. In primo luogo per le splendide spiagge, le coste di grande suggestione come i celebri The Bath a Virgin Gorda, enormi conformazioni granitiche su spiagge bianchissime, o la Horseshoe Reef considerata la terza scogliera del mondo, luogo di naufragi e di relitti (quella dei relitti è una passione: si organizzano escursioni subacquee per osservare il relitto di The Rhone affondato a 80 piedi di profondità sugli scogli di Salt Island).

Il turismo balneare è quindi una risorsa fondamentale, sia qui che nelle vicine Isole Vergini statunitensi, acquisite dagli USA nel 1917 per avere una base nei Caraibi. Qui il turismo di lusso ha avuto una grande spinta a partire dagli anni Sessanta, quando i ricchi americani (ad iniziare da Lurence Rockefeller) cercarono nuovi posti al sole dopo la rivoluzione di Castro a Cuba che rese la loro isola preferita un nemico alle porte di casa. Tuttavia gli inglesi rivendicano una politica turistica più intelligente di quella statunitense che, secondo loro, cerca di dare soltanto la caccia ai turisti danarosi, ma, lo sappiamo, i britannici sono un po’ snob... Tuttavia il modello turistico è ormai omologato, se in un depliant turistico delle British Virgin che abbiamo trovato ci si preoccupa di specificare che “breakfast can be a cappuccino and croissant...”.

Per il turista di buone letture rimane anche il ricordo della guerra di corsa degli inglesi contro i galeoni spagnoli, le innumerevoli storie di pirati e soprattutto il richiamo a L’isola del tesoro di R.L. Stevenson (Norman Island e Peter Island si contendono il titolo di isola del tesoro) con Jim Hawkins che descrive l’isola così: boscaglie grigiastre vestivano gran parte della sua superficie. Quella tinta uniforme era interrotta nella zona più bassa da strisce di sabbia gialla.

Qualche turista più inquieto potrà magari ancora sentire la canzone dei pirati, quindici uomini sulla cassa del morto/ e una bottiglia di rum per conforto.

 

Ma come dicevamo prima le British Islands sono un doppio paradiso (e anche una moderna e meno avventurosa isola del tesoro) perché sono anche uno dei paradisi fiscali sparsi per il mondo, basta leggere le cronache dei giornali per vedere quante vicende non proprio limpide si intreccino fra gli scogli delle isole. Basta andare a cercare fra i siti Internet che promettono miracoli per vedere descritto un paradiso per ricchi, per società offshore (ce ne sono migliaia sulle isole), che promettono che nessuno verrà ad “importunarti” con pretese assurde come la tassazione sul reddito delle persone fisiche o che per l’iscrizione delle società basta una semplice tassa pari allo 0,05 del capitale ammesso e, niente paura, c’è la tutela assoluta del segreto bancario. Magari i moderni pirati, meno simpatici del vecchio John Silver, si potranno godere anche le belle spiagge delle isole...



I ragazzi della 4°A

Liceo scientifico tecnologico Mattei

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