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Notte nera, mare grosso e manovre ardite

26 September 2013 ore 19:30

di Filippo Mennuni.


Il vento ha rinforzato e il mare si è ingrossato. È ora di passare alle cose serie. Prendiamo la prima mano alla randa e alziamo la tormentina. Il circuito non è pronto, perchè non era stato pensato, ma per fortuna ricordo perfettamente, anche dopo quattro anni di assenza da bordo, come passare le scotte e come murare la piccola vela di prua. Giorgio mi da una mano.

Il timoniere fa fatica a tenere la rotta e ogni tanto mette la prua troppo vicina al letto del vento, con il risultato di imbarcare ondate enormi che coprono la prua di quantità di acqua schiumosa che cerca di scalzarmi e portarmi via. Siamo assicurati con le cinture di sicurezza e questo garantisce una certa sicurezza, almeno finche reggono. L'acqua mi si infila ovunque, dal collo della cerata e anche dal basso, attraverso le gambe dei pantaloni della cerata. È piuttosto fredda, ma non ci posso pensare. Mentre aggancio uno a uno, faticosamente, i garrocci della tormentina, Giorgio passa la scotta di sinistra.

Gli sto gridando di passarla all'interno delle sartie basse quando un'onda più aggressiva delle altre mi prende in pieno e mi fa bere. Ho una sensazione di repulsione allo stomaco e mi prende un attimo di nausea. Non ho avuto il tempo di abituarmi ai movimenti della barca nel poco tempo da cui sono a bordo e adesso il mio corpo ne soffre. Ho un po' di nausea, maledizione!

La drizza è pronta, le scotte anche. Faccio segno a Giovanni, al timone, di andare al vento. Gridare non servirebbe, non può sentirmi, con il rumore della burrasca che cresce. Ma capisce i miei gesti. Alzo la vela più velocemente che posso, tesandola a ferro. Dal pozzetto Giorgio e Maurizio si applicano alle scotte.

Finalmente la vela porta e la barca riprende la rotta. Possiamo spegnere il motore, oramai inutile. È buio. Siamo stanchi. Io sono esausto. E ho il mal di mare. Poco, ma mi terrà compagnia per ventiquattr'ore. Mi cambio e torno in coperta, perchè è iniziato il mio turno. Gli altri vanno a riposare. Quattro ore da dividere con Giò, il più giovane a bordo.

Piano piano la burrasca stabilisce le sue regole e i suoi tempi. In oceano tutto avviene con più calma che in Mediterraneo, ma anche inesorabilmente.

Siamo in una zona dove c'è un certo traffico di navi, per questo dobbiamo stare ancora più attenti. Le grandi navi da carico manovrano lentamente e non si aspettano di incrociare una barca a vela in queste acque, in questa stagione e con questo tempo.

La notte è nera, di quelle veramente nere. Quando non c'è luna, ma ci sono le stelle, si percepisce comunque una certa luminosità e addirittura si intravede l'orizzonte, come una linea che separa due tonalità di uno scuro. È un nero non nero. Ma quando c'è tempesta il nero è totale, vero, pregnante, avvolgente. Lo senti intorno e dentro di te. Inizia la lunga attesa, fatta di manovre, attenzione, continua manovra al timone, onda dopo onda, centinaia, migliaia, decine di migliaia all'assalto.

Quando c'è burrasca sento tutta la cattiveria del mare. Ne percepisco la volontà di distruggere e la capacità di cancellarci dalla superficie, lasciando solo un piccolo gorgo che sparisce dopo pochi secondi. Giustamente i veri marinai hanno sempre detto, all'arrivo da una navigazione: "il mare, anche stavolta, ha permesso che passassimo". Arroganti, i diportisti oggi affermano di "avere attraversato".

Le onde aumentano ancora la loro altezza, quando passiamo il turno a Maurizio e Antonio. Faticano non poco a capire come tenere il timone, in questo caos di mare corto, generato dal vento, che si sovrappone all'onda lunga che ha un angolo differente. Devo restare un po' di tempo con loro finchè mi rendo conto che hanno preso dimestichezza sufficiente per tenere la rotta.

Scendo nella cabina. Ho bisogno di lavarmi e asciugarmi, anche se mi metterei subito a dormire. Dalla mia cuccetta sento tutti i rumori della barca e li riconosco. Sento quando al timone orzano troppo o poggiano esageratamente, sento quando la barca sta per sbattere contro l'onda frangente e quando invece ci passa sopra, tagliandola e assecondandola. Devo dormire.

Non è facile dormire quando hai la consapevolezza di ogni guaio che potrebbe accadere. Ripasso con la mente le manovre, le scotte, le drizze, ogni cosa. Stamane ho trovato due grilli delle borose dei terzaroli svitati e le relative pulegge sganciate. Per fortuna tutto era rimasto in zona e non abbiamo perso niente. Ho fatto un controllo veloce dei sistemi di riduzione delle vele. Ma ora mi chiedo se ho da vero verificato tutto. Se c'è qualcosa che ho sottovalutato.

Pazienza. Devo dormire.

Non sono passate nemmeno quatttro ore è Maurizio mi chiama in coperta. È necessario ridurre ancora la randa. È il cambio turno e anche Giorgio è in coperta, perchè toccherà a lui. Mi rivesto. La cerata è ancora umida. Torno fuori e ci organizziamo per la manovra. Vado all'albero. Chiedo al timoniere di mantenere la bolina, ma non avendo più l'appoggio della randa fa confusione e non sa più dov'è con la prua. Devo tornare al timone e cercare di aiutarlo a tenere la rotta, anche aiutandosi con il motore, sennò qualcuno si farà del male o romperemo parte dell'attrezzatura.

Ora sono di nuovo all'albero. Giorgio e Giovanni sono dall'altro lato, a manovrare le borose. Abbasso la randa fino a raggiungere il nuovo punto di mura, che incoccio senza inconvenienti. Ora devono recuperare la seconda mano, ma c'è un problema. C'è confusione. Giò tira sulla sulla seconda ma non scende. E la terza si incasina. 

Le borose sono state montate male e sono invertite. La prima e la seconda sono al posto sbagliato. Ok, tocca a me risolvere. Prendo la seconda e la porto al winch. Giorgio è tornato in pozzetto per recuperare la scotta e tesare la vela a manovra finita e dare una mano ai timonieri. Il winch è occupato dal vang, che però è già strozzato da uno stopper. Lo libero e inizio a tirare. Qualcosa ancora non va. Chiedo a Giovanni di andare a poppa a verificare se riesce a vedere la seconda mano e se tutto è a posto. Lui dice di sì. Mi fido, devo farlo. Alzo la randa e la drizza si tende. Sì! La vela è a posto. Grido di cazzare la scotta e di rimettersi in rotta. Il mare ora inizia davvero a essere alto. Non enorme, ma alto e cattivo. E noi siamo un equipaggio non rodato.  



Ore 23:30

La processione è senza fine. Ci ho fatto l'abitudine. Una dopo l'altra, in sequenza crescente, quattro, cinque, sei, quella alta e sette... quella più alta! E poi si ricomincia. Non so se sono sempre in sequenza di sette, ma dovrebbero. Sette, il numero del demonio.

Sai che sta arrivando, la settima. È la più alta, quella che improvvisamente frange davanti alla barca. Quella che si prepara, nascondendosi dietro le sorelle più basse. Subdola, grossa, lunga e alta. Lo sai che arriva anche se la vedi all'ultimo momento, quando una cresta schiumosa si innalza a schiacciarti. E con tutta la sua forza si schianta sulla fiancata e in coperta. Solleva ogni cosa non assicurata a dovere. Corre tutta la barca, si impenna sulla tuga e ripiomba direttamente sul timoniere. La barca rallenta, accusando il colpo, ma Adriatica è forte e riparte, lentamente, tre, quattro cinque nodi. Riprende la sua corsa mentre si scrolla il mare di dosso. E così via, per ore e ore. E io che mi chiedo, per l'ennesima volta: ma perchè? Perchè soffrire questi rischi? Cosa diamine mi chiama a ritornare in mare ogni volta. Settanta percento di sofferenza per trenta di piacere. Più o meno le proporzioni sono queste.

Ora, in questo momento, con questo mare, non ho la risposta. Vorrei essere altrove, in un luogo caldo, asciutto, con accanto chi amo, della musica, un buon vino. Anche se so che tornato il bel tempo, la troverò, la risposta. E tornerò ancora in mare.


Commenti

che emozione!

inserito da andrea il 24/10/2013 alle 00:53

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