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Ushuaia

Se tutto fosse andato per il verso giusto "Adriatica" questa volta avrebbe rischiato di tornare al punto di partenza perché Ushuaia doveva, a un certo punto della sua storia, chiamarsi “Nuova Bologna” come annunciava , con toni entusiastici, “Il Giornale dell’Emilia”. Perché questa città sperduta era poca cosa finché non arrivò un bastimento carico, carico... di bolognesi (ma anche di friulani). La storia è contrastata ed ancora oggi è motivo di polemiche. Un imprenditore emiliano Carlo Borsari, grazie all’appoggio del governo di Peron, portò in Terra del Fuoco centinaia di emiliani fra il 1948 ed il ’49 con lo scopo di edificare una nuova città. Agli emigranti, spinti dalle difficili condizioni del dopoguerra italiano, si diceva che sarebbero arrivata in “una bella città adagiata in una conca circondata da una chiostra di monti che ricordano le nostre Dolomiti” . Trovarono invece un clima proibitivo, infrastrutture inesistenti, paghe a singhiozzo ed alloggi in villaggi prefabbricati. Tuttavia la città venne costruita dai bolognesi ed oggi è una città di circa 50.000 abitanti, con una planimetria a scacchiera: non ha una piazza centrale, ma una strada principale, secondo il modello americano, l’Avenida St.Martin.

 

Prima Ushuaia era soltanto un misero villaggio attorno al carcere. Terra degli indigeni Yamana, nel 1869 (o nel 1871) vi venne fondata una missione anglicana. “Per sedici anni – scrive B.Chatwin – anglicanesimo, orti e indios avevano prosperato. Poi arrivò la Marina militare argentina e gli indios morirono di morbillo e di polmonite”. Il governo cileno infatti voleva che nella Terra del Fuoco vi fossero presidi militari e insediamenti stanziali, anche per respingere le rivendicazioni cilene su questo territorio sperduto. Dal 1902 venne installato un carcere che divenne l’edificio più importante della zona, una prigione per sovversivi e criminali, un luogo di detenzione orribile, di distruzione degli individui, che verrà chiuso solo nel 1947. Poi venne creata una fabbrica di sardine ed iniziarono ad arrivare i primi immigrati dalla Croazia, ma si trattò di poca cosa. C’era anche un immigrato italiano fra questi primi coloni, certo Pasqualino Rispoli, napoletano, che si “arrangiava” facendo il cacciatore di foche, il contrabbandiere e il predone di navi naufragate nello stretto di Magellano.

 

Oggi Ushuaia è una città con case dai colori vivaci, ma non dovette colpire in modo particolare Chatwin, che parla positivimante solo della tenutaria di un bordello, “una donna con la faccia imbellettata stava vuotando la spazzatura. Portava uno scialle cinese nero, ricamato con peonie rosa – anilina. Disse Qué tal? e sorrise: fu l’unico sincero e allegro sorriso che vidi a Ushuaia”.

Oggi la città si definisce “la fin du mundo”, record conteso con Puerto Williams, la città cilena dirimpettaia, con la quale è in corso da decenni una “guerra fredda”. In realtà Puerto Williams sarebbe più a sud, ma guai a dirlo agli abitanti di Ushuaia che risponderebbero che Puerto Williams non può definirsi una vera città. L’abitato stanziale più a sud sarebbe Puerto Toro (isola de Navarino), ma è un villaggio con meno di cento abitanti e quindi non ha nessuna chance. Da Ushuaia partono in ogni caso le navi per l’Antartide.

 

In città è da vedere il Museo Fin del Mundo che mette insieme la storia naturale e la storia umana di questo territorio. Ma è il territorio intorno ad Ushuaia a mostrare gli aspetti più belli di questa terra, a partire dalla baia, tanto che gli abitanti del posto dicono che “quando Dio creò la baia di Ushuaia fece uno dei suoi capolavori”. Interessantissimi sono i grandi ghiacciai: in un’epoca in cui si parla della scomparsa dei ghiacciai nel mondo, qui ve ne sono ancora di stupendi (anche se sono retrocessi di chilometri negli ultimi trenta/quaranta anni): i più importanti sono il Serrano, il Marinelli e il De Agostini. Quest’ultimo prende il nome da Alberto De Agostini, un sacerdote di Biella, inviato in Patagonia come terra di missione nel 1910 e che esplorerà con attenzione le Ande fino alla Terra del Fuoco: fu il fratello, il celebre editore De Agostini, a pubblicare nel 1949 il libro di padre Alfredo intitolato, appunto, “Alpi Patagoniche”. Darwin rimase estasiato dallo spettacolo della Terra del Fuoco a cui guardava “con sentimenti di gratitudine e quasi affettuosi”. Come scrisse alla sorella Caterina il 20 luglio 1834 , “bordeggiammo attraverso lo stretto di Magellano: la grande catena di montagne tra le quali si erge il Sarmento presentava uno spettacolo sublime di immensi cumuli di neve”, con lo stesso stupore che assale i visitatori del nostro tempo.

 

La classe 5^A Liceo Scientifico Tecnologico “E.Mattei” di Rosignano Solvay

 

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