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Vedrò quello che ha visto Cook

24 June 2002 ore 20:00

Ormai abbiamo perso il conto delle volte che abbiamo tangonato e stangonato il genoa. Il vento cambia sempre, però ha retto tutta notte. E ora, alle nove del mattino del 16° giorno di navigazione (che poi effettivamente saremmo ancora entro il 15° perché siamo partiti dalle Galapagos a mezzogiorno) siamo a 30 miglia da Fatu Hiva, la più a sudest delle Marchesi.

Piove. Stiamo rollando paurosamente. Stanotte non si è dormito molto. Davide si è anche alzato un paio di volte dalla sua cuccetta, incredulo che la barca fosse ancora intera dopo una serie di onde che l’hanno squassata, buttando il boma in acqua.

Stiamo arrivando, ma più che alle Marchesi, cioè all’arrivo, mi vien da pensare al viaggio, a quello che ho passato. Non sono poi così ansioso che finisca. Sono contento di questo: per me è un grande risultato. Per me è la prova è che ho raggiunto un certo grado di adattamento in barca. Anche per quanto riguarda le manovre. Ogni volta ho cercato di salire con Vanni, Marco e Antonella in coperta, per fare qualcosa. Non molto, ma ormai cosette tipo stare alla drizza o mollare il “basso” del tangone, son cose che so fare, quasi senza che mi dicano nulla.

Ma stanno per arrivare, all’orizzonte, le Marchesi. Vedrò quello che ha visto Cook: le Marchesi dal mare. In un certo senso ho annullato le differenze della storia: il suo viaggio non è poi stato del tutto e radicalmente diverso dal mio. Una barca a vela è una barca a vela. E un viaggio come questo è una conquista, il fatto che oggi sia una conquista gratuita (perché ci si può arrivare tranquillamente anche in aereo) la rende ancora più preziosa. Che poi, tanto gratuita non è: a Fatu Hiva non ci si arriva in aereo. E non c’è nemmeno, pare, un servizio regolare di barche da Nuku Hiva, salvo la goletta Ara Nui, una volta al mese. Per lo standard di globalizzazione di oggi, mi sembra il massimo del “selvaggio”.

 

Patrizio

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