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Al mar non si comanda!

13 February 2009 ore 12:00

Dopo pochi gioni di navigazione dal porto di Genova, ecco presentarsi subito i primi inconvenienti di navigazione per Simone Perotti, che a bordo di Pasaya dovrà attraversare l'Oceano Indiano e raggiungere Phuket, in Thailandia, e consegnare un messaggio di pace a nome del nostro Paese in occasione dei 140 anni di rapporti diplomatici. Visto la lunghezza e la difficoltà della tratta, uno stop forzato a pochi giorni dalla partenza non è un inizio facile da mandare giù, ma qualsiasi... navigante navigato sa molto bene che al mar non si comanda: gli inconvenienti fanno parte del fascino della navigazione, superarli è parte della soddisfazione finale.

 

Un momento difficile per l'equipaggio di Pasaya, dunque, ma a chi ha avuto modo di leggere le cose che scrive, Simone ha già dato prova di saper interpretare molto bene la filosofia del vero velista (NON per caso), e di saper accettare anche i capricci del vento e i ritardi nella navigazione.

 

Qui seguito riportiamo la lettera di Simone indirizzata a tutti gli utenti del sito.

 

Cari Velisti per Caso, una delle cose che chi naviga conosce meglio, contrariamente a quel che si può pensare, sono le attese. Attese interminabili, a volte, o che sembrano non finire mai. La banchina del porto fatta mille volte avanti e indietro, tra barca e shipchandler, tra barca e capitaneria. Gli sguardi che volano oltre la diga di soprafflutto, per vedere le condizioni del mare. Lo struggimento di giornate splendide per navigare trascorse però al molo, in attesa di un tecnico, o a scervellarsi con circuiti e sentine. Per chi noviga, e magari ha anche una lunga rotta da effettuare, le attese sono apparentemente una sorta di maleficio. C'è anche una buona dose di letteratura su questo, a cominciare dal capolavoro di Conrad "La Linea d'Ombra", dove impedimenti di varia natura, prima, e la bonaccia poi, lasciano comandante, equipaggio e lettori appesi a un filo sottile, eppure solidissimo, fatto della stessa materia del tempo. 

 

Attendere, tuttavia, non è mai una forma di stasi. Un lungo itinerario è fatto di tempo trascorso a navigare e tempo trascorso ad attendere di farlo. Entrambe le misure temporali compongono il viaggio, anche se in un ipotetico film, molti minuti d'attesa verrebbero tagliati a vantaggio delle scene d'azione. Ma nella vita reale occorre grande pazienza e consapevolezza che il tempo non è mai né tanto né poco, bensì è quanto richiede il viaggio e la sua stessa essenza. Inoltre, le attese sono sempre occasioni di lavori. Una barca è un oggetto che tende verso la messa a punto, non raggiunge mai questo stato. La sua complessità, il tentativo di presagire e prevedere ogni possibile rottura, ogni possibile sfida con gli elementi, la rendono immune da qualunque punto d'arrivo, da qualunque condizione di perfezione. C'è sempre una regolazione in più da fare, una messa a punto ulteriore, uno strumento da tarare, una via d'acqua da sigillare. C'è sempre, soprattutto, una possibile variazione da apportare all'armo, alla strumentazione, e la tentazione oscilla frequentemente tra il farla nel prossimo porto o farla nel porto dove ci si trova. Insomma, attendere non è stare fermi, così come a volte viaggiare non vuol dire muoversi.

 

Il mare, la navigazione, sono ricchi di questi paradossi. Vorrei dire quasi che il paradosso è il cemento che tiene insieme l'animo del marinaio, sempre unito e diviso da nostalgia e impazienza, paura e coraggio, lavoro e riposo, distacco e ricongiungimento. Anche questo ha un profondo valore simbolico. La parola chiave per tutto è: equilibrio. La barca stessa non cerca, in fondo, uno stato d'equilibrio? Spinta dal vento e dalla zavorra viene contesa da due direzioni opposte. Non è forse trovando l'equilibrio tra centro di gravità e centro velico che la barca riesce a procedere alla sua migliore andatura? Così il marinaio, che non deve aver fretta ma deve essere solerte, che non deve essere frenetico ma deve essere efficiente, che non deve smaniare per partire ma deve essere sempre pronto a farlo. Come diceva Biamonti in una meravigliosa frase sul mare, "Sul mare ci si sente orfani, il navigante si strugge per tutto ciò che ha lasciato e ricompone i conflitti che a terra dividevano il male dal bene. Si scende in una specie di grande valle, si entra in contatto con l’universo e i messaggi che arrivano da terra sembrano quelli di una cattedrale evanescente. Si getta sul mare uno sguardo che ha sempre qualcosa di perduto. L’uomo di terraferma crede che il marinaio sia felice di andare, non sa che è intessuto di angoscia e sogni e che gli sembra di percorrere una via che non conduce a nessun luogo.” 


Il sommo regolatore di tutto questo, sia in terra che in mare, è il Comandante. Filippo Mennuni, il Comandante di Adriatica, ha ragione nel dire che il suo ruolo è reso difficile dalla responsabilità, di cui il Comandante è l’unico e l’ultimo depositario. Io aggiungo che a lui, al Comandante, è demandato il compito ingrato, difficilissimo, di tenere a bada gli eccessi, di regolare le energie, di verificare la tentua di ogni singolo uomo dell’equipaggio. Anche per loro il Comandante dovrà dosare lavori e riposo, guardie e sonno, fatiche e soddisfazioni, perché sarà affar suo dover gestire qualunque possibile squilibrio. Il Comandante, oltre che navigare, dovrà avere ben chiari questi aspetti attraverso l’esperienza, attraverso errori visti e fatti. Ogni sfumatura della vita a bordo o a terra, di ognuno dei membri dell’equipaggio, lo riguarda da vicino e a tutto dovrà dare attenzione. Per questo il suo compito è difficile, non solo per i colpi del mare e del vento. 

 

Cosa c’è di bello in questa complessità, in questo rebus, per lui e per chiunque navighi? Nessuno lo sa. Forse il mistero, il confronto con l’ignoto che la complessità nasconde, e soprattutto la sfida, l’idea che questo grande mare di impulsi, paure, allerte e attenzioni sia solcabile con l’impegno, con la perizia, con il rispetto, con la gioia nonostante la fatica. Una prova, se volete. Un ostacolo e uno scontro, che possono sopraffarti ma che possono essere governati. Affascinante.

 

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