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Escursione al parco naturale di Bonaire

19 September 2006 ore 18:00

Chi ha detto che i caraibi sono tutti palme, spiagge bianche, sole splendente e mare blu (il tutto interpuntato da mojiti e caihpirine)? Qualcuno l'avrà anche detto, dal momento che questa è una immagine comune che i turisti per caso come me hanno in testa quando gli si nominano i caraibi. Il tizio che l'ha detto si è però scordato le foreste di cactus, la vegetazione bassa, le strade sterrate rossastre, i piccoli paesi coi muri dai colori pastello e le piogge improvvise con cieli grigi da far impallidire la Normandia.


Il programma di oggi prevedeva la visita al Parco Nazionale Washinghton Slagbaai di Bonaire, gita che abbiamo fatto in un pulmino a nove posti più due strapuntini preso a noleggio da noi velisti e tubisti per condurlo sui dissestati sentieri del parco. Della guida di questo disgraziato mezzo di trasporto, che a sera è stato restituito al noleggio notevolmente infangato dentro e fuori, si sono occupati con perizia prima Angelo e poi Damiano, i quali hanno dimostrato di essere altrettanto abili nel condurre barche e mezzi terrestri.
Tutte le volte che vedo i fenicotteri rosa mi sembra che siano delle cose messe in un lago da qualche pubblicitario per girare uno spot. Non mi sembrano nemmeno naturali nella loro bellezza ed eleganza. Abbiamo trovato un esiguo comitato di questi bellissimi animali non appena entrati nel recinto del parco. Se ne stavano beati all'interno della salina Matijs a spararsi le pose mentre noi scaricavamo su di loro raffiche di scatti di otturatore. Solo di fronte all'obiettivo professionale di Mauro si sono arresi; in fila come dei modelli ad una sfilata hanno attraversato il lago in senso longitudinale dando la possibilità al nostro fotografo di ottenere dei buoni scatti (gli hanno mostrato il loro profilo migliore, quei vanesi). Io mi sono consolato delle mie foto stortignaccole e nelle quali i soggetti apparivano lontani raccogliendo dal terreno una piccola e bellissima piuma rosa.


Abbiamo proseguito il nostro tour del parco sul sentiero verso Supladò, un posto che da solo vale una visita a quest'isola. Per fortuna non ci siamo lasciati scoraggiare dalla pioggia che iniziava a cadere insistente e, seguendo l'esempio di Damiano, ci siamo gettati a corsa, chi con la maglietta addosso chi senza, fino al punto sulla scogliera dal quale si può osservare (e subire) il fenomeno che qui chiamano "blowholes". Si tratta di dei buchi nella roccia che comunicano attraverso una grotta con il mare sottostante. Quando arriva un'onda contro gli scogli la pressione dell'aria creata dall'onda stessa fa scorrere l'aria a una velocità abbastanza forte da far soffiare fuori dal buco un flusso di aria e acqua vaporizzata che noi ci siamo divertiti a prenderci direttamente addosso; rimanendo per qualche istante completamente avvolti da questo nuvolone vento bagnato. Ci siamo divertiti così per qualche minuto, siamo poi tornati ridendo al furgoncino per continuare il giro.

 

Nella località del parco chiamata Boka Kokolishi siamo tutti rimasti a bocca aperta a guardare lo spettacolo delle onde che andavano e venivano da due "terrazzamenti" formati, non chiedetemi come, da alghe calcaree. Il luogo è una specie di fiordo non troppo profondo a una estremità del quale si trova una spiaggetta davati alla quale si trovano queste piattaforme semicircolari sulle quale si infrangono le onde del mare che risalgono violente la spaccatura nella costa. Quando queste ultime si ritraggono dalle piattaforme l'acqua del mare cade giù come se si trattasse di delle cascate. Damiano ha detto "il mare su due livelli dovevo ancora vederlo!" Con tutto che lui di cose strane per mare e per terra deve averne viste!

A Seru Bentana ci siamo arrampicati su delle rocce per arrivare fino ad una strana formazione naturale che sembra quasi una finestra scavata nella roccia (da qui il nome "bentana" in lingua locale, ventana in spagnolo). Dalla sommità di questa scultura naturale abbiamo avuto modo di goderci il meraviglioso spettacolo della costa e dell'entroterra illuminati differentemente a seconda se il sole fitrava o meno dalle nubi, come se alcuni particolari del paesaggio avessero un riflettore puntato contro mentre altri erano in ombra.

Al faro stavamo quasi per scendere dal pulmino, quando sono successe comtemporaneamente due cose. E' arrivata una jeep rossa con due tursti e ha iniziato a piovere a dirotto all'improvviso. Abbiamo deciso di rimanere un po' lì in pulmino per vedere se spioveva e abbiamo ingannato il tempo mangiando qualcosa. Poi la jeep rossa se ne è andata e contemporaneamente ha smesso di piovere. Incoraggiati dal cessato temporale facevamo per scendere, ma la jeep è tornata nella piazzola di sosta e ha ricominciato a piovere di nuovo... evidentemente quelli della jeep facevano di cognome Fantozzi. A questo punto abbiamo rinunciato alla visita al faro.

Proseguiamo il nostro giro e si cominciano ad avere dei nuovi compagni; le capre e le iguane. Le capre sarebbero forse anche relativamente facili da fotografare, ma diciamo che ce ne frega il giusto. Le iguane ci piacerebbe poterle ritrarre nelle loro pose migliori. Putroppo in diversi tentativi ci riesce solo di riprenderle di sedere mentre se ne vanno infastidite dalla nostra presenza. E' mentre siamo nei pressi di Put Bronswinkel (un grazioso stagno nel bosco di alberi e cactus) che avviene il miracolo; nella piazzola di sosta un'iguana di ragguardevoli dimensioni si lascia fotografare guardandoci incuriosita. Il gioco si inverte, sembra che siamo noi ad essere osservati dall'animale e non viceversa. Si riescono a fare comunque solo poche foto prima che da una curva sbuchi a tradimento la famigerata jeep rossa. Damiano non fa neanche in tempo a dire: "vai, adesso piove" che siamo già tutti a correre di nuovo sul pulmino mentre i primi goccioloni ci inzuppano i vestiti e l'attrezzatura fotografica. Per foruna dopo riusciamo a farci seminare dalla jeep rossa, così nella spiaggetta di Playa Funchi ci scappa anche un veloce bagnetto con annesso snorkeling. Sulla via del ritorno, uscendo dal parco, riusciamo anche a vedere un asino selvatico e un ultimo fenicottero rosa.
Tornando al porto ci fermiamo nel paesino di Rincon. Si tratta di un delizioso piccolo centro abitato con le case in stile coloniale verniciate con allegri colori pastello, la chiesa affrescata con uno stile naif quasi commovente e con la sfacciatissima fortuna di avere degli stupendi pappagalli colorati al posto dei piccioni che svolazzano fra le case e si fermano sugli alberi e sui fili del telefono.

 

Simone, Velista per Caso

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