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Il mare che inghiotte

30 September 2009 ore 12:00

Nessuno quasi lo ricorda. Nella notte tra il 25 e il 26 dicembre del 1996, nel canale di Sicilia di fronte a Portopalo, affonda una barca carica di immigrati clandestini. Muoiono quasi 300 uomini provenienti da paesi poveri o in guerra: Pakistan, India, Sri Lanka. È la più grande tragedia del Mediterraneo dell’ultimo mezzo secolo. Per media e autorità, salvo poche eccezioni, non è accaduto nulla, la notizia non circola. Ma il mare, poco alla volta, restituisce qualcosa: corpi, teschi, abiti e soprattutto un documento di identità.

 

E’ così che la tragedia in mare più grave del dopoguerra viene alla luce, per caso, insieme alle storie di coraggio del pescatore Salvo Lupo, a quella dell’efferato comandante El Hallal, a quelle dei “tonni” (come li chiamano i pescatori impauriti) ovvero delle decine, centinaia di corpi senza vita che da anni finiscono nelle reti e vengono rigettati in mare. E’ la storia della frontiera mediterranea, presa d’assalto da derelitti, migranti, esuli, traformata in tomba a immersione per (si stima) quasi 20.000 vittime negli ultimi dieci anni (!). Eschilo, migliaia di anni fa, scrisse “Le Supplici”, ovvero una tragedia sulla migrazione e sull’accoglienza. Le figlie di Danao fuggono dall’Egitto e chiedono asilo (supplicano, appunto) al Re di Argo Pelasgo. Sono straniere, vestono in modo esotico, sono “diverse”, ma rivendicano origini comuni.

 

Sono, come gli argivi, discendenti della fanciulla Io (da cui il nome del Mar Io-nio), amata da Zeus e perseguitata da Era. Pelasgo vuole dar loro asilo, ma ha il problema di spiegarlo al suo popolo, di fargli accettare le profughe. Convoca dunque un’assemblea e perora con un accorato discorso la causa delle migranti. Quando entrano ad Argo, il Padre Danao ammonisce le ragazze a comportarsi con serietà e gratitudine verso il popolo che le ha accolte. Eschilo, le Supplici, migliaia di anni fa. Portopalo, 1996. Portopalo 2009. Già perché oggi lo spettacolo itinerante delle Supplici verrà messo in scena proprio lì per ricordare, per non dimenticare, la tragedia della nave con 283 persone a bordo inghiottita dal mare mentre già a bordo vedevano le luci della Sicilia, mentre pensavano di avercela fatta.

 

Per non dimenticare anche che quello che sappiamo di quel tratto di mare, in realtà, è solo qualche pagina del racconto tragico più crudele della nostra epoca, dei nostri confini. Secondo alcune testimonianze, non ancora suffragate da prove, pochi mesi fa di fronte alla Libia, in acque internazionali equidistanti tra noi e la Libia, due navi con quasi 600 migranti sarebbero affondate senza lasciare traccia. Stasera, a Portopalo, qualcuno si domanderà come possiamo non soccorrere, non accogliere, non accudire questi dannati della terra. Uomini e donne che cercano salvezza, vengono sfruttati, maltrattati, illusi, che sfidano il mare (loro, uomini degli altipiani, dei deserti, delle pianure) e, assai spesso, scompaiono nelle profondità senza lasciare che neppure un grido venga portato dal vento. Le loro “suppliche”.

 

Simone Perotti

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