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La Patagonia vista dai naturalisti

20 April 2007 ore 18:00

Il viaggio

Una sfacchinata, siamo arrivati a Buenos Aires dopo 48 di voli e soste interminabili negli aeroporti. Ma questo è niente: il nostro abbigliamento, in previsione della Patagonia e della navigazione su Adriatica era più adatto ad una malga sud tirolese che al clima tropicale monsonico che abbiamo trovato a Buenos Aires: in una sola giornata nella capitale ci siamo giocati tutti i cambi di magliette e calzini. Così siamo arrivati a Trelew, capitale del Chubut, indistinguibili, olfattivamente, dai gauchos locali. Abbiamo però superato lo stesso il controllo biologico all’aeroporto nonostante le moschine che ci volavano intorno. Poi via in pulmino a Puerto Madryn, la nave del deserto che ci accompagnerà per tutta la settimana di esplorazione della meravigliosa penisola di Valdes. Alla guida, l’ineffabile Fernando, autista muy guapo y mucho apreciado da las chicas dela espediciòn. Alla sera, a cena, cordero patagonico (agnello merino).


Punta Tombo

Neanche il tempo di disfare i bagagli (e di leggere per email le prime brutte notizie da Adriatica...) che il vascello condotto con perizia gaucha dal tenebroso Fernando e in compagnia della hermosa chica Claudia, ci porta a sud, per visitare la più grande colonia continentale di pinguino magellanico (Spheniscus magellanicus) del sud America. Lo spettacolo mozza il fiato: centinaia di migliaia di pinguini coprono a tappeto una superficie enorme di costa, spingendosi fino più di un chilometro dal mare. Mare blu, rocce rosso acceso, sabbia nera, un concerto di ragli di pinguino e un petrello gigante (Macronectes giganteus) del sud che staglia la sua sagoma minacciosa sulla colonia. I pinguini hanno finito il business della riproduzione e si stanno godendo la meritata muta delle penne prima di lasciare la colonia definitivamente per prendere il mare dove passeranno i prossimi mesi prima della nuova stagione riproduttiva. Durante la muta devono digiunare e quindi arrivano alla colonia tutti belli “gordi” (grassottelli) e, come si nota anche a colpo d’occhio, ripartono belli “delgadi” (smagrati). Chamangi e avvoltoi tacchino volteggiano sulla colonia, non è ben chiaro se attirati dai cadaveri di pinguini o dai calzini di Alessandro. Non possiamo non pensare all’emozione che Darwin avrà provato nel costeggiare a bordo del Beagle esto lugar patagonico. Piccolo snack alla pinguinera a base di empanadas al cordero. Le nostre coronarie cominciano già a scricchiolare.

 

CENPAT Centro Nacional Patagonico, Puerto Madryn

Tutta la giornata dedicata ad un incontro con i ricercatori dell’altro emisfero. Qui si studiano gli ambienti della Patagonia, la loro ecologia e l’impatto delle attività umane sull’ambiente. In particolare, passiamo la giornata a farci raccontare da Pablo Yorio, Flavio Quintana e Walter (Tito) Svagelj, le loro ricerche. Tito ci racconta il lavoro sta conducendo da vari anni sul cormorano imperiale (Phalacrocorax atriceps). Questi cormorani depongono tre uova, ma solo i primi due nati riescono a sopravvivere. Il terzo pulcino serve, ci dice Tito, solo come “assicurazione” in caso di perdita di uno dei due fratelli più grandi e nella maggior parte dei casi muore dopo pochi giorni. La storia è affascinante ma anche un po’ crudele e le nostre ragazze, intristite dal racconto, dovranno farsi consolare da Fernando sempre pronto, peraltro, alla bisogna. Il processo di selezione sessuale è più complicato di come lo aveva immaginato Darwin: il conlfitto evoluzionistico tra i sessi e tra genitori e figli marca, a volte drammaticamente, l’evoluzione del comportamento riproduttivo.

Poi, tutti all’Ecocentro dove sono esposte le meravigliose foto che Flavio (beato lui) ha fatto durante il suo ultimo viaggio in Antartide. A cena, cordero patagonico, vino tinto e vulcano di cioccolato come dessert. Urge unità coronarica per rianimare la truppa, soprattutto per il vecchio. Prima del sospirato letto, un’occhiata alla mail: Adriatica è bloccata all’isola degli Stati. Osserviamo con tristezza i nostri bagagli pieni di stivali da barca, cerate, sacchi a pelo ed asciugamani che, cominciamo a temere, non useremo mai.

 

Penisola di Valdés, Patrimonio dell’umanità

Alla mattina, Fernando ha cambiato chica e arriva con la grandiosa Margarita, che, vedremo più avanti, ci salverà dai numerosi, potenziali, disastri generati dalla approssimativa organizzazione del viaggio. E via, la penisola ci attende. Guanachi a iosa (Lama guanicoe), nandù di Darwin (Pterocnemia pennata) come piovesse, tinami dal ciuffo (Eudromia elegans) dietro ogni cespuglio e coppie di mara (Dolichotis patagonum) che fuggono come lepri appena facciamo il cenno di rallentare il nostro veicolo, lanciato a 110 km/h sugli sterrati della penisola. Contro ogni legge della probabilità, invece di lasciare i nostri cadaveri rinsecchiti lungo il ciglio della strada a disposizione degli affamati avvoltoi tacchino (Cathartes aura), arriviamo relativamente sani e salvi al faro di Punta Delgada, dove camere lussuose ma (caro Preside della Facoltà di Scienze di Padova) molto economiche. 

Neanche il tempo di cambiarci i calzini, che Margarita ci scaracolla giù dalla scogliera per vedere i giganteschi elefanti marini (Mirounga leonina) che ci aspettano sulla spiaggia. Dormono e ci possiamo avvicinare. È uno spettacolo mozzafiato. Poi Matteo, Clelia, Katja, Chiara e Mauro (il nostro cameramen), come gauchi incalliti, balzano in groppa a destrieri patagonici e affrontano la steppa al tramonto. Nel frattempo due stacanovisti esplorano a piedi i dintorni e individuano una colonia di civette della tane (Athene cunicularia). La sera, avremmo voluto cordero patagonico, ma, grazie a dio, il ristorante del faro serviva anche arroz y mariscos. Poi, gruppo di discussione sulla competizione maschile e l’evoluzione degli armamenti nei maschi prima di stramazzare a letto.

Il giorno dopo tutti a Punta Norte, dove le orche (Orcinus orca) si danno appuntamento per sbafarsi a colazione i cuccioli di leone marino (Otaria flavescens) altresì detto lobo de un pelo. Nel frattempo Fernando e Mauro si dedicano alla ricerca de un pelo, ma senza successo.

Contro ogni legge della probabilità le orche arrivano, prima il grande Mel con la sua compagna Sol. Con il fiato sospeso speriamo che attacchino le otarie sulla spiaggia, ma per loro fortuna (delle otarie) le orche sono sazie. Noia? No! Nel frattempo grassi armadilli pelosi (Chaetophractus villosus) e astute volpi di Darwin (Dusicyon griseus) ci arrivano vicine, probabilmente anche loro attirate dai calzini di Alessandro. Poi, altra pinguinera, per ingannare l’attesa fino alla prossima alta di marea quando torniamo a punta Norte dove ci accolgono Ezechiel e il suo pod (famiglia). Anche se si avvicinano tantissimo alla costa alla fine alle otarie va bene anche questa volta, ma noi possiamo almeno ammirare un salto fuori dall’acqua che ci permette di ammirare questi magnifici predatori in tutta la loro bellezza. Quando il buio ci avvolge e il freddo vento patagonico ci è penetrato nelle ossa, torniamo al faro, dove una fumante “cassoela” di cordero ci aspetta. Prima di schiantare a letto, Roxana ci fa vedere le costellazioni dell’emisfero australe: croce del sud, alfa e beta centauri, solo per citare le più luminose. Prima di dormire, altra occhiata alla mail. Tempeste australi trattengono ancora Adriatica all’isola degli Stati. Soffriamo per Filippo e l’equipaggio.

 

Altro giorno, altra loberia (colonia di leoni marini). E poi beccacce di mare (3 specie!), serpenti, ragni de dos pelos, gabbiani, cormorani, chioni e un lungo elenco di piccoli uccelli che vi rispariamo. Dulcis (de leche) in fundo, stormi di fenicotteri cileni (Phoenicopterus chilensis) tingono di cremisi l’orizzonte patagonico. Mauro e Matteo, in spedizione rappresentativa dell’intero gruppo, attraversano una distesa di alcuni chilometri di fango (patagonico) per documentare da vicino il comportamento di alimentazione di questi magnifici uccelli. Al ritorno dalla spedizione, Fernando li obbliga a salire a piedi nudi sul furgone e butta le loro scarpe nel più vicino deposito di spazzatura. La serata, finalmente senza vento (la prima), sulla terrazza del nostro (economico) albergo, a bere birre (Quilmes) che qui te le tirano dietro e c’e’ poca acqua e ti tocca bere birra anche se non vuoi.

La notizia definitiva è arrivata: Adriatica non ci raggiungerà in tempo per portarci verso Buenos Aires. Bisogna riorganizzare tutta la seconda parte del viaggio. Per fortuna super Margarita telefona in agenzia e riesce a trovarci un volo da Puerto Madryn alla capitale, dove incontreremo il gruppo di Barbujani in arrivo da Ferrara (questa sì una buona notizia!). Patagonia (e relativi corderi) addio!


Andrea Pilastro, Università di Padova

e gli studenti Clelia, Alessandro, Katja, Matteo e Chiara Naturalisti per Caso

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