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Mini Vulcanologi tra i vulcani italiani
Nell'anno internazionale del Pianeta Terra - 2° settimana
Dal diario di Adriatica: (mini) vulcanologi a bordo!
Prima di esplorare i vulcani del sud Italia si fa tappa a Ercolano e al MAVStromboli e Strombolicchio
Salendo tra i crateri, fino a "Iddu"Spedizione a Vulcano
Il Vulcano che ha dato il nome a tutti i vulcani! - 3° settimana
Scalare Vulcano non è una passeggiata
...ed è meglio tapparsi il naso!L'Etna è speciale!
Non è come tutti gli altri vulcani, è un sistema molto complesso... - 4° settimana
Cosa ne pensano i Mini Vulcanologi?
Tutte le emozioni di questo viaggio
Spedizione a Vulcano
13 July 2008 ore 12:00
Abbiamo due nuovi accompagnatori. Sono saliti a bordo questa mattina a Stromboli, ma quasi nessuno se n’è accorto perché, ancora stanchi dalla spedizione di ieri sera, stavamo dormendo ancora. Sono Attila e Paolo Madonna, vulcanologo esperto di Vulcano: sembra un gioco di parole ma è così: infatti la nostra prossima tappa è proprio Vulcano, il vulcano che ha dato il nome a tutti i vulcani. Ma chi è Attila? È l’inseparabile compagno di Paolo: un cagnetto, un po’ volpino e un po’ qualcosa d’altro non ben definito, che segue Paolo ovunque, anche in elicottero quando deve andare a fare una perlustrazione sopra i vulcani. Attila a bordo di Adriatica non è proprio a suo agio: fa troppo caldo e non si sa dove fare i propri bisogni.
Per fortuna il viaggio prevede una tappa, un’isoletta, poco più di uno scoglio, tra Lisca Bianca e Lisca Nera, altri scogli poco accoglienti ma molto belli per i colori e le stratificazioni lasciati dall’attività vulcanica. Si chiama Bottaro: è speciale perché nelle acque antistanti ci sono delle fumarole sottomarine. Sono il resto di un antico vulcano, che ora forma una caldera sottomarina. Visto dall’alto, si vede ancora il bordo del cratere, ora sommerso. E allora tutti con la maschera, le pinne, con una bella nuotata arriviamo alle fumarole. Nuotando si sente la puzza dello zolfo che bolleggiando arriva fino in superficie. Escono da fenditure nel fondo del mare e salgono fin su con dei bellissimi effetti, come in una specie di grande acquario. Al bordo le fenditure sono biancastre per i depositi lasciati dal materiale che emerge. È bello nuotare in mezzo alla colonna di bollicine, illuminate dal sole. Se si mette la testa sott’acqua si sente anche il rumore che fanno: una sorta di gorgoglio, simile agli effetti speciali dei film di fantascienza di una volta. Di pesci non ce n'é granché in questo ambiente che non è evidentemente molto ospitale. Non tanto per la temperatura che più o meno è la stessa del resto del mare... solo in fondo, proprio vicino alla bocca della fumarola, l’acqua raggiunge i 50°. Piuttosto è la composizione chimica che non piace ai pesci: tropo zolfo.
Risaliamo a bordo e nel pomeriggio raggiungiamo la spiaggia di pomici su Lipari. Si trova in una cava abbandonata: un posto fantasma, dove le vecchie strutture della cava si stanno lentamente disfacendo. Mura diroccate, finestre come occhi ciechi, strutture di metallo arrugginito che si protraggono nel mare. Una specie di fantasma. La cava ha interrotto la produzione di pomice, perché non compatibile con il fatto che le isole Eolie sono patrimonio dell’umanità dell’UNESCO... tuttavia anche questo disastro non pare molto compatibile. Né lo sono le bottiglie di plastica, lattine, resti vari lasciati sulla spiaggia.I primi che sbarcano dal gommone che dall’Adriatica ci porta a riva devono innanzitutto fare un po’ di pulizia. Paolo e i bambini vanno subito a caccia di pomici: leggere, porose, bianche. Galleggiano se le getti in acqua, cosa che non ci si aspetta da una pietra! E trovano anche dei pezzi di ossidiana: nera, lucida, compatta.
Paolo ce le mostra sulla mano. Sono l’una l’opposta dell’altra... eppure... eppure. "Facciamo una prova" propone Paolo. "Proviamo a sbriciolarle e a ridurle in polvere... ecco qui su questo sasso un po’ concavo, va benissimo". Osserviamo la stranezza. Prima la pomice: si sbriciola in una polvere bianca, la stessa che rimane sui pavimenti della cava abbandonata. Poi tocca alla nera ossidiana. Dopo pochi colpi, anche questa si trasforma nella stessa polvere bianca della pomice. "Avete visto? Se ve l’avessi detto non ci avreste creduto! Ossidiana a pomice sono la stessa cosa! Certo appaiono diverse, ma questo è dovuto solo a come vengono espulse durante l’eruzione: la pomice contiene molto gas, e diventa leggera e porosa. L’ossidiana sembra vetro, non contiene gas, perché ha avuto il tempo di raffreddarsi lentamente. È diventata dura, una specie di vetro, all’interno del quale la luce si propaga in modo particolare... e all’occhio appare nera. Ma dal punto di vista della composizione chimica sono la stessa cosa: e il nostro esperimento lo prova". Siamo tutti molto colpiti.
E ora un altro esperimento... Per vedere come si forma una caldera. Prendiamo un palloncino, lo attacchiamo a un tubo e lo gonfiamo. Poi chiudiamo il tubo con una pinza, ma l’aria esce, allora proviamo con un dito e funziona meglio. Sistemiamo il palloncino nella sabbia e BUM, il primo palloncino scoppia subito. Proviamo con un altro, che fa la stessa cosa e con un altro ancora, finché non ne troviamo uno buono. Ha fatto troppo caldo, e i palloncini sono tutti un po’ appiccicati, basta il contatto con la sabbia ruvida per farli scoppiare. Poi si ricopre tutto il palloncino con la sabbia per formare sopra un bell’edificio vulcanico. Quando è pronto, si lascia andare l’aria, e il palloncino, che rappresenta la camera magmatica, si sgonfia... e la cima del vulcano sprofonda, formando il caratteristico cono rovesciato o caldera. Poi si rirova a gonfiare il palloncino che alla fine scoppia, proprio come capita a volte che all’interno di un vecchio vulcano se ne forma un altro. Vengono fatte molte prove, l’esperimento è molto divertente... E Paolo ci conferma che funziona proprio così in natura.
Paola Catapano e Simona Cerrato
Comunicatrici scientifiche